Dopo sette anni di silenzio, tornano in piazza i “Veilleurs” per opporsi alla proposta di legge francese sull’“aiuto a morire”. Un gesto simbolico, non ideologico, che chiede di restituire dignità e verità al dibattito sul fine vita.
A distanza di dodici anni dalla loro nascita nel clima acceso della Manif pour tous, e dopo un silenzio durato sette anni, i Veilleurs – “coloro che vegliano” – sono tornati. Non con striscioni o slogan, ma come allora: con letture filosofiche, canti, silenzi, e un invito alla coscienza. Questa volta però l’oggetto della loro mobilitazione non è il matrimonio, ma la dignità della vita alla sua fine.
La proposta di legge sul cosiddetto “diritto all’aiuto a morire”, approvata in prima lettura all’Assemblée nationale il 27 maggio, ha acceso un allarme profondo in molti francesi, credenti e non. Ma è toccato ancora una volta a una minoranza silenziosa rompere l’indifferenza con una forma di protesta non violenta, culturale, spirituale.
Una veglia per l’uomo
«Ceci n’est pas une manifestation», ha ricordato dal palco Élisabeth de Courrèges, ergoterapeuta, cattolica, autrice del libro Nous veillerons sur votre dignité. La sua è una voce nuova, giovane, che ha deciso di rifondare il collettivo con il permesso del fondatore originale. La sua idea è chiara: contro una legge che rappresenta una frattura antropologica, serve una risposta di senso, di bellezza, di umanità.
I “nuovi Veilleurs” si sono dati appuntamento in Place de la Concorde, di fronte alla Senna, separati simbolicamente dall’Assemblea dove si votava la legge. Circondati dalla polizia, hanno ascoltato le parole di filosofi come Damien Le Guay e di altri testimoni. Hanno recitato testi, tra cui il celebre discorso di Solženicyn a Harvard. In mezzo a loro, giovani mai scesi in piazza prima, studenti, madri, qualche prete in talare, almeno una kippà: un popolo trasversale e silenzioso.
Giovani che non si arrendono alla cultura della resa
Colpisce che la gran parte dei presenti – come Éléanore, 24 anni, o Maxime, 18 – non avesse mai partecipato a manifestazioni simili in passato. Alcuni hanno scoperto l’iniziativa su Instagram, altri sono venuti per amicizia. Non si identificano con etichette politiche o clericali. Sono attratti da un gesto pacifico che richiama l’intelligenza e la speranza. Non si gridano slogan, si leggono parole. Non si cerca la rissa, ma il risveglio. Come ha detto un partecipante: «Non siamo contro qualcosa, siamo per qualcuno: per ogni persona che soffre e non va lasciata sola».
In un’epoca che propone la morte medicalizzata come soluzione alla sofferenza, la loro presenza restituisce un’altra visione: la vita va accompagnata, non interrotta. Il malato va accolto, non eliminato. E la risposta sociale non può essere una “dose letale”, ma cura, ascolto, presenza, umanità.
La legge del dolore e la legge della speranza
Il ministro della Salute, Yannick Neuder, medico e cardiologo, pur appartenente al governo, ha espresso riserve importanti: teme che il délit d’entrave scoraggi i medici dai percorsi di cure palliative e che si vada troppo in frettaverso una deriva che mette in secondo piano le vere alternative. Ha ricordato che in Francia il 50% dei pazienti che ne avrebbero bisogno non ha accesso ai servizi di cure palliative, e che il 91% di coloro che chiedono di morire cambia idea quando riceve aiuto adeguato.
Una statistica che da sola dovrebbe bastare a sospendere ogni decisione. E invece, si è votato. È per questo che i Veilleurs torneranno quando il Senato esaminerà il testo in autunno. Per dire, ancora una volta, che la compassione non si misura in iniezioni, ma in prossimità. E che il diritto alla morte non può sostituirsi al dovere della cura.
Vegliare oggi per non dormire domani
In fondo, i Veilleurs fanno quello che ogni comunità cristiana è chiamata a fare: vegliare, anche nella notte, per non smarrire l’umano. In un tempo dove l’efficienza sembra contare più della relazione, e la sofferenza è vista come intollerabile da eliminare, c’è bisogno di testimoni che sappiano stare accanto senza giudicare, accogliere senza forzare, amare senza calcolare.
Nel linguaggio sobrio di questa protesta, non c’è rancore, ma una speranza tenace: che la morte non sia mai la risposta sociale al dolore. Che nessuno sia lasciato solo. E che, come scriveva Peguy, «l’onore dell’uomo è di resistere à la nuit».
Un fenomeno nuovo e interessante quello della presa dii posizione dei giovani in Francia sulle questioni legate alla fede e alla vita.